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SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA?
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DEMOLIAMO I RAGIONAMENTI E TUTTO CIO' CHE SI ELEVA ORGOGLIOSAMENTE CONTRO LA CONOSCENZA DI DIO 2 corinzi 10:4-5

ARGOMENTO: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA?

SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 11:45 #5526

La questione è molto dibattuta nei vari ambienti
Voi cosa ne pensate?

Dio vi guidi e vi denedica

Gianfranco
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Re: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 15:31 #5532

Al tempo della Riforma, Arminio predicava che la salvezza si può perdere. Probabilmente sono state i tanti «finti credenti» e le tante «pseudo conversioni» a convincerlo di questa opinione. Calvino, al contrario, parlava dell’elezione dei credenti (i calvinisti ne trassero la sedicente doppia predestinazione). I credenti evangelici non-arminiani e non-calvinisti affermano che tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza (1 Tm 2,4), ma alcuni l’accettano e altri la rifiutano. Laddove l’uomo accetta sinceramente Cristo quale Salvatore e Signore e lo Spirito Santo può fare in lui, senza ostacoli, un’opera di rigenerazione e di suggellamento, il credente può essere certo della salvezza, poiché essa è sicura, essendo garantita da Cristo stesso e dai suoi meriti.
Da Arminio e Calvino ad oggi, il dibattito non si è mai sopito.
Se la salvezza si può perdere, significa che dipende dalle opere umane e che la creatura concorre alla propria salvezza; se così fosse, non sarebbe più per grazia mediante la fede (Ef 2,8; Rm 5,2). Se la salvezza la garantisce Cristo, esclusivamente a causa dei suoi meriti, e non dipende quindi dalle opere umane, non si può neppure perdere.
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Ultima modifica: 19/09/2012 15:58 Da GIANFRANCO.
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Re: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 15:41 #5533

Alcune considerazioni: (ecco alcune tesi di colo che dicono che la salvezza si puo perdere:
- "Essi abbandonano la retta via, si sono sviati" (2^ Pietro 2:15) (Se hanno abbandonato la retta via, allora prima la percorrevano) : Osservazioni: Essi non fanno parte dei devoti, che il Signore trae dalla tentazione, ma degli ingiusti riservati per il giorno del giudizio (v. 9). Tutto il discorso è all’interno del giudaismo e gli argomenti sono tali. Anche nel v. 15 si tratta della «retta via» («via della giustizia» v. 21), mostrata dalla Legge (v. 21: «voltare le spalle al santo comandamento che era loro stato dato»), che essi hanno abbandonato per seguire gli sfoghi della carne. Si tratta quindi di Giudei mondani che propagavano una falsa dottrina libertina (vv. 1.18s) fra gli altri Giudei (cristiani e non). Quindi essi non avevano nulla a che fare con la salvezza in Cristo, ma Pietro li denunciò perché costituivano un grande pericolo anche per i Giudei messianici e per coloro che «si erano già un poco allontanati da coloro che vivono nell’errore» (v. 18).

«Quelli infatti che sono fuggiti dalle contaminazioni del mondo per mezzo della conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo, se sono da queste di nuovo avviluppati e vinti, la loro ultima condizione è peggiore della prima. Poiché sarebbe stato meglio per loro non aver conosciuto la via della giustizia, anziché, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo comandamento che era stato loro dato. Ma è avvenuto loro ciò che dice un vero proverbio: “Il cane è tornato al suo vomito”, e “la scrofa lavata è tornata a voltolarsi nel fango”» (2 Pt 2,20-23).
Anche qui si parla di persone che hanno camminato bene per poi traviarsi:
Osservazioni: Sembra che — se si tratta degli stessi dei vv. 1s e vv. 12ss — abbiano avuto una «conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo» (v. 20) e della «via della giustizia» (v. 21), ma ciò non è giovato loro nulla, poiché sono tornati indietro alle loro lascivie (vv. 12ss.22). In questo capitolo di salvezza in Cristo non si parla mai. Qui non si può perdere una salvezza mai avuta. Come detto lo scopo era quello di mettere in guardia da tali Giudei libertini e lascivi che con la loro «filosofia» di vita dissennata erano un grande pericolo per i simpatizzanti dell’Evangelo (vv. 18s).

«Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli» (Ap 3,5).
Questo ci dimostra che chi non vince perseverando sino alla fine, sarà cancellato dal libro della vita.
Osservazioni: Questa è la tipica logica dei cultori di «versettologia», ossia di saltare da un libro all’altro, prendendo versi fuori contesto e traendo argomenti dal silenzio (poi ci lamentiamo che alcune sette facciano così!).
Al conduttore della chiesa di Sardi, Gesù disse: «Tu hai nome di vivere e sei morto» (Ap 3,1) e anche «il resto [ossia della chiesa locale] sta per morire» (v. 2) a causa dell’imitazione dei suoi costumi. Dio minacciò quindi di uccidere fisicamente lui e gli altri come lui, quando sarebbe venuto improvvisamente a loro (v. 3b). Tale guida aveva bisogno di ravvedersi (v. 3), poiché le sue opere non erano mancanti (v. 2), trascurava la sana dottrina e non vegliava (v. 3). A differenza di questo credente di nome, presso di lui c’erano «alcuni pochi in Sardi che non hanno contaminato le loro vesti» (v. 4); a differenza di lui, «essi cammineranno con me in vesti bianche, perché ne son degni». Questi sono coloro che hanno vinto, i cui nomi sono scritti nel libro della vita e che saranno annunciati con onore da Cristo (v. 5). A ciò si aggiunga che l’espressione «non cancellare il nome di qualcuno dal libro della vita» (e simili) non si riferisce alla salvezza eterna, ma al far rimanere in vita. Il «libro della vita» era chiamato pure «libro dei viventi» ed era il registro da cui si veniva cancellati alla morte fisica. Cancellare il nome di qualcuno significava ucciderlo, distruggerlo (p.es. come nazione; 2 Re 14,27) e cancellare sulla terra la memoria di qualcuno (Sal 9,5) o la sua progenie (Sal 109,13; Is 48,19). «…io li distruggerò e cancellerò il loro nome di sotto i cieli» (Dt 14,9). «…tutte le maledizioni scritte in questo libro si poseranno su lui, e l’Eterno cancellerà il nome di lui di sotto al cielo» (Dt 29,20). «Cancellami dal tuo libro che hai scritto» (Es 32,32), significava semplicemente «fammi morire». Secondo il salmista si trattava del libro in cui sono «scritti tutti i giorni che m’erano destinati» (Sal 139,16). Nel Sal 69,28 c’è in ebraico «libro dei viventi» (sëfër chajîm): da cui gli empi devono venir cancellati (ossia devono essere uccisi) per non rimanere iscritti insieme ai giusti.
Tutto ciò si accorda con Ap 3,1s. Si noti che l’espressione «tu sei morto» (Gn 20,3) o «tu sei un uomo morto; non vivrai» (2 Re 20,1; Is 38,1) significava «stai per essere ucciso». Mentre Gesù, visitando spiritualmente tale chiesa locale, avrebbe ucciso fisicamente (forse mediante una persecuzione) gli infedeli, avrebbe lasciato in vita i fedeli.
Altra cosa è un registro celeste, chiamato anch’esso «libro della vita» (Ef 4,3; Ap 13,8; 17,8; 20,12.15; 21,27 dell’Agnello; cfr. Dn 12,1); in Apocalisse ci sono vari libri (5,9; 22,9; 20,12). In esso gli uomini sono scritti o meno «fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13,8; 17,. Ma qui si aprirebbe un altro fronte (predestinazione, ecc.), che andrebbe fuori tema.
In ogni modo, sebbene nel brano in causa (Ap 3,1-6) tale libro celeste mal si addice nel contesto (ma «non cancellerò» = «non ucciderò»), non viene mai neppure detto esplicitamente che si possa essere cancellati da tale libro celeste; dire il contrario è pura deduzione razionalistica senza fondamento (al pari di coloro che affermano che Dio abbia eletto gli uni a salvezza e gli altri a perdizione).

SONO CHIARAMENTE SOLO DEGLI ESEMPI. NE POTREI CITARE ALTRI.
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Ultima modifica: 19/09/2012 15:56 Da GIANFRANCO.
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Re: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 15:56 #5534

Questa domanda ricorre spesso nella discussione tra cristiani. Sia la domanda che la risposta sono importanti perché possono influire sul nostro rapporto con Dio. Ad esempio, se qualcuno crede che può perdere la salvezza, può cadere nell’errore di provare a conservare la sua salvezza per mezzo delle opere. Questo è un grave errore (Gal 3,1ss). Dall’altra parte, se uno crede che non può perdere la salvezza, può cadere nell’errore di avere una certa libertà di peccare, perché crede che non sarà perduto anche se pecca. Anche questo è molto sbagliato (Rm 6,1s.11s). La comprensione corretta della salvezza è che le opere non hanno alcuna parte in essa (Rm 4,5), che è un dono (Rm 6,23) che si riceve per fede (Ef 2,8s). Una volta salvati, siamo chiamati a vivere una vita santa (1Tes 4,7).
Fortunatamente, credere se si può o non si può perdere la salvezza non influisce sulla nostra salvezza. Cioè, la nostra salvezza è dipendente dall’accettazione di Gesù come Salvatore, avendo fede nel suo sacrificio per il peccato; non dobbiamo guardare a nessun altro e a niente altro. La nostra salvezza non è dipendente dal pensiero che la si può perdere.
Il punto importante è studiare la Parola di Dio ed essere convinti nella propria mente di quello che si crede (Rm 14,5). Dobbiamo rendere conto a Dio di ciò che crediamo e dobbiamo studiare di presentare noi stessi approvati davanti a Dio (2 Tim 2,15).
Ci sono, nella Bibbia, versi per sostenere entrambi gli argomenti. Ci sono versi che sembrano suggerire la possibilità di perdere la salvezza: 2 Pt 2,1; Gal 5,4; Eb 10,26; 6,4ss; Sal 69,28, e ci sono versi che sostengono l’impossibilità di perdere la salvezza: Gv 10,27ss; Eb 13,5; Rm 8,38s. Ma se ci sono versi utilizzati per sostenere entrambi gli argomenti, allora c’è una contraddizione nella Parola di Dio? Naturalmente no. Non ci può essere alcuna contraddizione nella Parola ispirata di Dio, la contraddizione sta solo nella nostra non ispirata comprensione.
È mia opinione, e sottolineo opinione, che non è possibile perdere la salvezza. Mi baso su quei brani che sembrano avere una prospettiva più «eterna». Ad esempio, nel giorno del giudizio, a quelli che hanno cercato la salvezza con le loro opere Gesù dirà loro: «Io non vi ho mai conosciuti» (Mt 7,21ss). Essi non erano conosciuti, cioè, essi non erano salvati anche se sembravano esserlo dalla prospettiva umana. Gesù ha detto delle sue pecore: «Io do loro la vita eterna e non periranno mai» (Gv 10,28). Come può la vita eterna essere eterna, se può essere persa? Gesù ha detto che non periranno mai. Se non periranno mai, allora non possono perdere la salvezza. Inoltre, Paolo afferma che niente sarà in grado di separarci dall’amore di Dio (Rm 8,38s). Vedo questi versi come una «prospettiva divina», cioè una visione delle cose dal punto di vista di Dio. Vedo gli altri versi sopra citati come una prospettiva umana, dove gli uomini sembravano essere salvati e quindi appaiono come dei possibili perduti (Gal 5,4; Eb 6,4ss). Comunque, 1 Gv 2,19, che si occupa degli anticristi, dice: «Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri perché, se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma ciò è accaduto perché fosse palesato che non tutti sono dei nostri» (Nuova Diodati). In questo verso vedo due cose: Primo, dei falsi credenti se ne vanno perché non sono mai stati rigenerati. In altre parole, se qualcuno aveva la salvezza (dalla prospettiva umana) e poi l’ha persa, era perché in realtà non sono mai stati salvati. Secondo, il verso dice che se qualcuno è veramente salvato, rimarrà nella fede.
Tuttavia, ci sono varie posizioni su questo argomento. Una posizione afferma che è possibile perdere la salvezza, ma solo se la persona lo vuole. In altre parole, essendo stata perdonata gratuitamente dal peccato, la persona è capace, per un atto della sua volontà, di negare il Signore e quindi chiedere indirettamente (apostasia, perdita della fede, ecc.) di non aver più niente a che fare con Lui.
Un’altra posizione afferma che è possibile perdere la salvezza peccando. In questo caso c’è bisogno di confessare il peccato per essere nuovamente salvato. Qui è abbastanza evidente che la persona confida oltre che nella grazia salvifica di Dio anche nelle proprie opere.
Un’altra posizione afferma che non è possibile perdere la salvezza, a causa del fatto che Gesù ci ha redenti e che siamo delle nuove creature (2 Cor 5,17) e quindi non possiamo voltare le spalle a Dio. Siccome l’ottenimento della salvezza non è dipeso da niente di ciò che abbiamo fatto, la sua perdita non può verificarsi a causa di ciò che facciamo.
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Re: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 16:02 #5535

Ginfranco visto che è stata fata una spiegazione di alcuni versi a riguardo, ti chiederei di spiegare questi altri alla luce del discorso che non è possibile scadere dalla salvezza:

Ebrei 10:38
ma il mio giusto per fede vivrà; e se si tira indietro, l'anima mia non lo gradisce».

1Timoteo 4:1
Ma lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni,

1Timoteo 5:12
rendendosi colpevoli perché hanno abbandonato l'impegno precedente.

1Timoteo 5:15
infatti già alcune si sono sviate per andare dietro a Satana.

2Pietro 2:20
Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo mediante la conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo, si lasciano di nuovo avviluppare in quelle e vincere, la loro condizione ultima diventa peggiore della prima.

Ebrei 10:26
Infatti, se persistiamo nel peccare volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati;

Ebrei 10:27
ma una terribile attesa del giudizio e l'ardore di un fuoco che divorerà i ribelli.

Ebrei 6:4-6
4 Infatti quelli che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo 5 e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo futuro, 6 e poi sono caduti, è impossibile ricondurli di nuovo al ravvedimento perché crocifiggono di nuovo per conto loro il Figlio di Dio e lo espongono a infamia.

Benchè ritengo che il credente è già salvato, non escludo che tale salvezza si possa perdere.

Credo che chi sostenga la tesi che la salvezza si possa perdere, faccia confusione trà l'opera di salvezza di Dio in Gesù, e l'accettazione di tale opera.

Il sacrificio di Gesù e' valido per tutta l'umanità, per gli uni sarà una condanna, per gli altri una salvezza dipende se L'uomo dispone umilmente il proprio cuore e vive per fede nel sacrificio di Gesù che purifica da ogni peccato.

Se abbandoniamo volontariamente la fede, non è la grazia salvifica che viene meno, ma è venuto meno il desiderio di salvezza che offre la grazia.

Attendi al messaggio pericoloso che dice una volta salvati sempre salvati, questo la bibbia non lo dice da nessuna parte............perchè lo dobbiamo dire noi?






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Re: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 16:09 #5536

ALTRI ESEMPI:
1. ROMANI 11,22:«Vedi dunque la bontà e la severità di Dio: la severità su quelli che sono caduti, e la bontà verso di te, se pure perseveri nella bontà, altrimenti anche tu sarai reciso».
■ Tesi pro perdita della salvezza: Serve perseveranza nella fede per non essere recisi dalla salvezza
Osservazioni: L’Israele storico non è stato reciso dalla salvezza ma dalla promessa, infatti la salvezza l’ha rifiutata, rifiutando Gesù quale Messia. Quindi che il brano parli di essere reciso dalla salvezza, è pura deduzione illegittima. Paolo non parla di singoli in senso personale ma di «Israeliti / Israele» e di «Gentili» in genere. Tre volte si parla di salvezza ma sempre in senso positivo (v. 11. salvezza per i Gentili; v. 14 per alcuni Giudei; v. 26 la salvezza escatologica d’Israele), mai di perdita. Il motivo di tali parole era dettato da sentimenti di orgoglio e di antisemitismo fra i Gentili (vv. 20.25), a cui Dio contrappone il suo severo giudizio storico (v. 21). Parimenti Paolo parlò di innestare di nuovo i Giudei increduli, se smetteranno nel loro atteggiamento. Paolo parlò altresì della «pienezza dei Gentili» (v. 25) e della salvezza futura per tutto Israele (v. 26). Non si parla quindi della salvezza personale (e della sua presunta perdita), ma del piano di Dio verso gli Israeliti e verso i Gentili.

EBREI 10,29:«Quale peggiore castigo pensate voi merita colui che ha calpestato il Figlio di Dio e ha considerato profano il sangue del patto col quale è stato santificato, e ha oltraggiato lo Spirito della grazia?».
■ Tesi pro perdita della salvezza: Solo i cristiani possono oltraggiare lo Spirito che dimora in loro
Osservazioni: Qui si vuol presumere che si parli di credenti rigenerati. Abbiamo mostrato però la dinamica della lettera agli Ebrei, rivolta appunto ai Giudei. Bisogna stare attenti a caricare il concetto «santificato» con significati salvifici. Nel NT può significare semplicemente qualcosa come «essere posto nell’ambito d’influenza del credente» o «essere posto nella sfera d’influenza di Dio», «non essere impuro». Ciò è mostrato dalla dinamica del matrimonio di un credente sposato con un non-credente, il quale è santificato nel primo (1 Cor 7,13). Dio non considera «impuri» i loro figli, ma «santi». Questi sono concetti sacrali o rituali (gli impuri non possono accostarsi a Dio) e non hanno direttamente a che fare con la salvezza. L’uso di «santificato» è mostrato anche altrove per i cibi (1 Tm 4,4), gli oggetti (2 Tm 2,21) e le persone (Eb 9,13) col significato di «purificato» (cfr. Lv 16,19). Nel brano in esame, l’autore presenta l’Evangelo ai suoi connazionali e li avverte che se lo rifiutano (v. 26 «pecchiamo volontariamente»), dopo aver «ricevuto la conoscenza della verità» e «dopo essere stati illuminati» (v. 32), nessun sacrificio potrà risolvere la questione del loro peccato, ma si rendono avversari di Dio e come tali li attende il giudizio divino (v. 27). Quindi, il v. 28 parla del rifiuto del Figlio di Dio, del sangue del patto e dello «Spirito della grazia» da parte di tali Giudei, dopo che hanno conosciuto la verità. Chi ingiuria la grazia comunicata dallo Spirito, non entra nel nuovo patto e non accetta la salvezza! Ciò che resta è il giudizio (vv. 30s). Si trattava di Giudei che avevano conosciuto l’Evangelo, ma che sotto la pressione di altri Giudei (vv. 31ss) erano tentati di rimanere com’erano, di essere di «quelli che si traggono indietro a loro perdizione», invece di essere di «quelli che hanno fede per salvare l’anima» (v. 39). Il termine «santificato» richiamava per i Giudei l’opera cultuale, secondo cui solo chi veniva santificato (o purificato) poteva accostarsi a Dio per portare il sacrificio per il peccato. Il contrasto è tra il fatto che il «sangue del patto» aveva creato questa possibilità di accesso al santuario (Eb 10,19ss), ma tali Giudei consideravano «profano» proprio tale sangue! Dio ha riconciliato il mondo con sé, ma ciò vale praticamente solo per coloro che accettano la salvezza mediante il sangue di Cristo (Rm 5,10; 2 Cor 5,18ss; Col 1,21s).
Altrove è scritto che «gli oltraggiatori… non erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni; ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor Gesù Cristo, e mediante lo Spirito del Dio nostro» (1 Cor 6,10s).
Una nota al margine. L’espressione «sangue del patto» è usato qui in modo assoluto e non è riferito con molta probabilità al sangue di Gesù, ma a quello usato durante la stipulazione del patto mosaico (Es 24,. Fu così che l’autore usò questa espressione (Eb 9,19s), distinguendo ciò dal «sangue del patto eterno» (Eb 13,20), dal «sangue dell’aspersione» del nuovo patto (Eb 12,24) o dal fatto che Gesù abbia voluto «santificare il popolo col proprio sangue» (Eb 13,12).
Tali Giudei non solo avevano «calpestato il Figlio di Dio», ma avevano scelto la via del libertinismo, contraria a quella del patto mosaico, che li rendeva un popolo speciale (= li santificava; cfr. Es 19,5), omologandosi così ai peccatori di questo mondo (Paolo disse a Pietro, che giudaizzava tra i Galati: «Noi che siamo Giudei di nascita e non peccatori di fra i Gentili»; Gal 2,15). Ciò rappresentava anche un oltraggio alla testimonianza dello Spirito che li chiamava alla grazia. A ciò si deve l’appello finale dell’autore: «Usciamo quindi fuori del campo e andiamo a lui, portando il suo vituperio» (Eb 13,13). Il «campo» era il giudaismo storico, a cui i Giudei che avevano conosciuto la verità di Gesù quale Messia erano fortemente legati per cultura e per timore di vituperio.

EBREI 6,4-6:«Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, hanno gustato il dono celeste, sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo a venire, se cadono, è impossibile riportarli un’altra volta al ravvedimento, poiché per conto loro crocifiggono nuovamente il Figlio di Dio e lo espongono a infamia».
■ Tesi pro perdita della salvezza: Solo i cristiani nati di nuovo sono stati illuminati, hanno gustato il dono della salvezza, hanno partecipato allo Spirito di Dio e gustato la Parola di Dio.
Osservazioni: Abbiamo già parlato della dinamica del giudaismo. Si notino qui i verbi «illuminati», «gustato» (x 2) e «fatti partecipi». Si possono interpretare in due modi: 1) si parla di chi è stato illuminato mediante lo Spirito Santo e, entrando nella sfera della sua influenza, ha gustato qualcosa di ciò, ma senza abbracciare veramente la salvezza; 2) si tratta di credenti apostati. La similitudine dei vv. 7s privilegia la prima possibilità: la pioggia cade su tutte le piante, ma dipende da ciò che esse ne fanno per produrre che cosa. Ciò ricorda la parabola del seminatore e i vari terreni: il seme è lo stesso, ma dipende da chi lo riceve. Anche l’esperienza ci mostra di persone che ricevono con gioia l’Evangelo, illuminati dallo Spirito leggono la Parola con interesse, gustano un po’ del mondo di Dio e delle sue benedizioni; poi, su pressioni esterne o per opportunismo, il fuoco improvvisamente si spegne, assomigliano all’aborto mai nato e non vogliono mai più sentire parlare dell’Evangelo! (Tra il concepimento e la nascita è lunga la via e molti i pericoli!)
In ogni modo, si noti che l’autore argomenta per paradosso: non è certamente possibile crocifiggere di nuovo storicamente il Figlio di Dio (v. 6), quindi la loro «fede abortita» non è mai servita alla loro salvezza. Qui non si ratta di credenti rigenerati (essi non gustano solo, ma partecipano alla grazia), ma di Giudei che assomigliano al seme caduto sulla roccia (la pianta si secca) o tra le spine (è soffocata dalle cure mondane).
Il discorso paradossale è anche che tali persone illuminate e che hanno gustato un po’ delle cose di Dio, rifiutando la grazia, «è impossibile rinnovarli da capo a ravvedimento» (v. 6); questa è anche l’esperienza di chi è stato nell’opera di fondazione di chiesa o nella cura pastorale. Altra cosa è invece per i credenti rigenerati: si può cadere in trasgressione o essere caduti nel «laccio del diavolo», ma può essere rialzato da altri credenti con spirito di mansuetudine ed essere corretto con dolcezza (Gal 6,1; 2 Tm 2,25s). Ci si può sviare dalla verità, ma tale peccatore può essere aiutato a convertirsi «dall’errore della sua via» e a ottenere il perdono (Gcm 5,19s).

2 TESSALONICESI 2,3:«Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia».
■ Tesi pro perdita della salvezza: L’apostasia non è l’abbandono della fede di chi non la ha mai avuta, ma di chi è stato precedentemente un credente
Osservazioni: L’apostasia è un concetto troppo generale per limitarlo ai soli credenti e per tirarlo in ballo per la salvezza. Qualunque dizionario di greco mostra che apostasía significa genericamente «distanza, defezione, ribellione, rivolta», dal verbo afístēmi «allontano, disgiungo, separo, spingo alla dissensione, rimuovo, respingo, rinuncio». Ciò che nel verso in esame sarà l’apostasia, sarà connesso con «l’uomo del peccato», che facendosi avversario di Dio, dichiarerà se stesso Dio e dissacrerà il tempio. Chiaramente chi pensa così e chi lo seguirà, non sentirà il bisogno di riconoscere Dio e di cercare la sua salvezza, anzi saranno marchiati col «marchio della bestia» (Ap 13,17; 14,9.11; 19,20) e guerreggeranno contro i santi (cfr. Ap 17,14), che non avevano preso tale marchio (Ap 20,4). Sarà tale «empio» a portare l’apostasia, poiché agirà in lui Satana, che lo potenzierà a compiere «ogni specie di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi e con ogni sorta d’inganno d’iniquità a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per esser salvati» (vv. 9s). È chiaro che tali non-convertiti ed empi, credendo alla menzogna, non crederanno alla verità ma si compiaceranno nell’iniquità (vv. 11s). L’apostasia è quindi genericamente l’allontanamento degli uomini dalla verità.

MATTEO 12,32
■ Tesi pro perdita della salvezza: Gesù chiama questo peccato la «bestemmia contro lo Spirito Santo» (Mt 12,32) l’opporsi tenacemente all’azione dello Spirito (At 7,51) oltraggiando in questo modo lo «Spirito della Grazia» (Eb 10,29) che convince di peccato i non-credenti oppure i credenti che abbandonano la fede (cfr. Gv 16,8; Gn 6,3
Osservazioni: La «versettologia» tende a isolare i singoli testi dal loro contesto letterario naturale, mettendoli poi in una lunga lista e pensando così di poter convincere. Inoltre, li separa dal loro contesto storico e culturale, mettendoli in un periodo senza tempo e senza mutamenti e ignorando (e dando da intendere) che esiste una rivelazione progressiva. Qui troviamo un caso tipico. A differenza di ogni altro peccato, Gesù valutò la «bestemmia dello Spirito» (così in greco) come imperdonabile. Qui la chiesa ancora non c’era, ma solo il giudaismo. I Giudei attribuivano i segni e i prodigi messianici, specialmente la cacciata dei demoni, non «per l’aiuto dello Spirito di Dio» (v. 28), ma «per l’aiuto di Beelzebub» (vv. 24.27). Rifiutando essi la testimonianza che lo Spirito di Dio dava della messianicità di Gesù e perciò del fatto che «il regno di Dio è pervenuto fino a voi» (v. 28), essi peccavano contro lo Spirito testimoniante e si mettevano praticamente fuori della salvezza. Non accettando Gesù come il Messia-Re promesso, rifiutavano così il regno di Dio (Mt 21,43). Così Gesù mostrò la natura empia dell’albero e dell’uomo malvagio, ossia dei Farisei che egli chiamò «razza di vipere» (vv. 33ss).
Come si vede, tutto ciò non ha nulla a che fare con la presunta perdita della salvezza dei credenti del nuovo patto, poiché esso non era stato ancora inaugurato. Per tale peccato d’incredulità non c’è «remissione in eterno», poiché si è «reo d’un peccato eterno» (Mc 3,29), avendo rifiutato Gesù come Messia, quindi come Salvatore e Signore. Era il peccato di rinnegamento di Gesù quale Messia da parte dei Giudei, a cui lo Spirito dava testimonianza (Lc 12,8ss), probabilmente per evitare di essere osteggiati dagli altri Giudei (At 18,17), di essere espulsi dalla sinagoga d’appartenenza (Gv 16,2) e di essere condannati, puniti pesantemente e anche uccisi dai tribunali giudaici e dal Sinedrio (vv. 11s; Mt 10,17; Mc 23,34; At 9,2; 22,19; 26,11). Con l’inizio della chiesa, questo peccato imperdonabile continuò a essere l’incredulità dei Giudei verso la messianicità di Gesù. In At 7,51 Stefano rinfacciò ai suoi compatrioti e correligionari proprio tale resistenza alla testimonianza dello Spirito di Dio, poiché i loro cuori erano incirconcisi, ossia irredenti. Di Eb 10,29 abbiamo già parlato e rappresenta lo stesso atteggiamento di oltraggio degli Ebrei in senso lato verso lo «Spirito della grazia»: è l’incredulità quale peccato volontario (v. 26). Il giorno in cui i Giudei guarderanno in massa a Colui che essi hanno trafitto, è ancora futuro (Zc 12,10; Ap 1,7). In Gv 16,8 Gesù parlò del ministero di convincimento da parte dello Spirito verso il «mondo», non verso i credenti, poiché si tratta del peccato di incredulità riguardo a Gesù quale Messia (v. 9). Gn 6,3 qui non c’entra proprio nulla col tema della presunta perdita della salvezza
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Re: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 16:12 #5537

CREDENTI E RIGENERATI (1 Gv 3,9; 4,7s; 5,1-10.18; Gv 1,13)
■ Tesi pro perdita della salvezza: Ho letto lo studio biblico di Paolo Castellina, e le sue argomentazioni in merito non mi hanno convinto. Io personalmente credo che se un credente rimane fermo in Cristo Gesù non può perdere la salvezza. Ma se un giorno rinnega la sua fede, a quel punto si autocondanna. È troppo facile a mio avviso affermare che coloro che rinnegano Cristo non sono mai stati credenti. {Gaetano Nunnari}
La salvezza è un dono immeritato e l’uomo non può «guadagnarsela», è vero. Ma il «credente» che volge la grazia di Dio in dissolutezza risulta indegno di quel dono (Giuda 4). D’altro canto, è ovvio che la salvezza è assicurata se il credente ha l’animo nelle cose dello Spirito. Ma se il credente pecca volontariamente come può essere degno di salvezza? Gesù ha pagato per i nostri peccati involontari e non per i «credenti» che tornano a peccare volontariamente.
Osservazioni: È assolutamente necessario tracciare una linea di demarcazione tra «credenti» e «rigenerati» (o come alcuni preferiscono «nati di nuovo»). L’apostolo Giovanni si è confrontato con questo problema già ai suoi giorni e, dovendo stabilire un criterio fra (solo) «credenti» e «rigenerati» (nati da Dio), affermò tra altri i principi seguenti.
1 Gv 5,18: «Noi sappiamo che chiunque è generato da Dio non persevera nel peccato; ma il generato da Dio lo preserva, e il maligno non lo tocca». In greco il verbo «peccare» è al presente e descrive uno stato e una continuità in esso. Alcuni manoscritti invece di «ma il generato da Dio lo preserva» leggono «ma la generazione [o nascita] da Dio lo preserva». Quindi i due elementi essenziali che dividono il grano (i «generati da Dio») dalla paglia (i cosiddetti «credenti») sono questi: ▪ 1) Essere effettivamente nati (o generati) da Dio; ▪ 2) Non persistere nel peccato come condizione normale; questa diventa anche una dimostrazione della prima; ▪ 3) La generazione (o nascita) da Dio (o ciò che è stato generato da Dio in lui = la nuova creatura) è in grado di proteggere tale credente rigenerato; ▪ 4) Se si è in tale condizione di «rigenerato da Dio» e non si è un semplice «credente» (né carne né pesce; anche il diavolo crede in Dio), il «maligno» non è in grado di «toccarlo», ossia di danneggiarlo o rovinarlo.
L’espressione «generato/i (nato/i) da Dio» si trova nei seguenti brani giovannei:
Gv 1,13: Qui la generazione (o la nascita) da Dio viene contrapposta alla razza e la nascita naturale (cfr. v. 12). Si tratta della «generazione (o della nascita) dall'alto» (Gv 3,3.7) o mediante lo Spirito (v. 5s) contrapposta a quella della carne (v. 6) e probabilmente a quella dall'«acqua» (v. 5), eufemismo per il seme umano (Is 48,1 sorgente di Giacobbe).
1 Gv 3,9: «Chiunque è generato da Dio non continua a commettere il peccato, perché il seme di Lui dimora in lui; e non può persistere a peccare perché è generato da Dio». Il germe di vita proveniente da Dio nel generato fa sì che egli non possa vivere in un continuo stato di peccato. Di conseguenza, Giovanni pose questo principio importante che discrimina fra credenti di nome e credenti rigenerati: «Da questo sono manifesti i figli di Dio e i figli del diavolo: chiunque non opera la giustizia non è da Dio, e [altresì] chi non ama il suo fratello» (v. 10).
1 Gv 4,7: «Diletti, amiamoci gli uni gli altri; perché l’amore è da Dio, e chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio». Qui l’autore non parla di una generica antropofilia, ma l’amore per i fratelli è un criterio per riconoscere chi è generato da Dio e Lo conosce. L’atteggiamento contrario dimostra quanto segue: «Chi non ama [cioè i fratelli] non ha conosciuto Dio; perché Dio è amore» (v. . Chi è stato in varie parti dell’Italia e del mondo, sa che cosa vuol dire incontrare persone e subito sentire una spirituale empatia di rigenerato verso altri rigenerati dallo Spirito di Dio… di là dalle differenze culturali, linguistiche e, occasionalmente, dottrinali.
1 Gv 5,1: «Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è generato da Dio; e chiunque ama Colui che ha generato, ama anche chi è stato da lui generato». Quanto qui detto, rafforza il precedente. È logico che non si può credere che Gesù sia il Messia-Re e amare il Dio generatore e non amare chi Dio ha generato. Chi, durante la storia, ha perseguitato altri credenti in nome di Cristo e di Dio e li ha messi a morte, non era generato da Dio, ma solo un «credente» che disonorava Dio e infangava il nome di Cristo.
Nei versi che seguono (1 Gv 2-10) Giovanni argomenta al contrario per evitare una falsa religione del «vogliamoci bene». Se effettivamente amiamo i figli di Dio, ciò si palesa nell’amare Dio stesso e nell’osservare i suoi comandamenti (v. 2). Infatti, l’amore per Dio si palesa nella persistente osservanza dei suoi comandamenti (v. 3). Chi è generato da Dio conosce i fronti fra le cose di Dio e il mondo, e la sua vita è improntata a una persistente vittoria sul mondo mediante la fede (v. 4); si può caratterizzare difficilmente come «generato da Dio» un «credente» con una mentalità e una prassi di vita mondane. Non può essere diversamente che chi persiste nel vincere il mondo, crede che Gesù è il Figlio di Dio (v. 5). Nei versi che seguono (6-10) l’autore evidenzia la testimonianza interna dello Spirito di verità, poiché «Chi crede nel Figlio di Dio ha quella testimonianza in sé» (v. 10).
Abbiamo evidenziato abbastanza criteri per capire la differenza fra un «credente» e chi «è generato da Dio». Anche qui la salvezza la perdono solo i «credenti» che non ce l’hanno mai veramente avuta, non essendo generati da Dio.
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Re: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 16:15 #5538

GIACOMO 5,19

Tesi pro perdita della salvezza 1: Dopo aver letto vari interventi sul sito in merito alla sicurezza o perdita della salvezza, non so ancora quale posizione sia quella giusta. Vorrei farti presente il brano di Giacomo 5,19: «Fratelli miei, se qualcuno tra di voi si svia dalla verità e uno lo riconduce indietro, costui sappia che chi avrà riportato indietro un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quantità di peccati».
A me pare che parli chiaro: «Fratelli [quindi cristiani dal contesto, altrimenti non li chiamerebbe fratelli, penso], se qualcuno tra di voi [quindi tra questi cristiani veri] si svia dalla verità...».
■ Osservazioni : Il problema qui è che, influenzati dalla dogmatica occidentale, si dà ai termini un valore dottrinale legato alla soteriologia. Si tenga presente il contesto giudaico dell’epistola e dei confini molto fluidi fra giudaismo storico e giudaismo cristiano, tipico dei credenti di Gerusalemme. I conduttori della chiesa di Gerusalemme dissero a Paolo: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei ci sono che hanno creduto; e tutti sono zelanti per la legge» (At 21,20). E per loro era normale praticare i riti di purificazione rituale (con annesso sacrificio) presso il tempio (At 21,23ss). A ciò si aggiunga che Giacomo era un assertore rigoroso della «giudaicità» dei cristiani giudei (Gal 2,12ss) e un’autorità nella chiesa di Gerusalemme (At 12,17). Si noti l’insistenza di Giacomo per la «Legge» mosaica nella sua epistola (Gcm 1,25; 2,8-12; 4,11). Si fa quindi sempre bene a tener presente il contesto giudaico di alcune epistole.
■ Fratelli: I Giudei erano soliti chiamare così i loro connazionali a qualunque movimento giudaico appartenessero (cfr At 28,17 con v. 28). I cristiani giudei chiamavano così anche i Giudei storici (cfr. At 2,29.37; 3,17; 7,2; 13,15.26.38; 22,1.5; 23,1.5s; 28,17). Giacomo usò questo termine in 15 versi della sua pistola.
■ Salvare:Il verbo greco sōzō significa «soccorrere, proteggere, mettere al sicuro»; purtroppo viene applicato subito alla salvezza eterna.
È un po’ singolare (e ha creato molti dolorosi fraintendimenti nella storia) tradurre così: «…nondimeno [la donna] sarà salvata partorendo figli…» (1 Tm 2,14s). Quindi, la logica di un’applicazione soteriologica è che le nubili non si «salvano» (?) o per «salvarsi» devono diventare ragazze-madri (?)! Il brano intende molto più semplicemente: «…nondimeno [la donna] sarà protetta (o messa al sicuro dinanzi alla seduzione) partorendo figli…». Ossia, la maternità è, in genere, per una donna un motivo valido per non cedere — per amor dei figli — alle seduzioni del mondo. Certo ciò da solo può non bastare, ma deve accompagnarsi da questo: «se persevereranno [le donne] nella fede e nell’amore e nella santificazione con castità».
Similmente in Gcm 15,19 si tratta di mettere al sicuro l’esistenza di una persona dinanzi alla morte. L’uso del verbo «salvare» da parte di Giacomo è tipicamente ebraico. Egli, scrivendo, ai «fratelli miei diletti» (Gcm 1,19), parlando dell’ira (v. 20), afferma poi che «la Parola che è stata piantata in voi, e che può salvare le anime vostre» (v. 21); è chiaro che intende «proteggere le anime vostre» da quanto ha appena parlato. ● Una fede senza opere, essendo «morta», non può salvare (Gcm 2,14.17ss), ossia non è una fede rigenerante, ma solo fede religiosa, anzi pari alla «fede solo conoscitiva» dei demoni (v. 19). Giacomo voleva proprio contrastare qui la «grazia a poco prezzo» e la fede come adesione religiosa che non cambia nulla nelle persone (nessuna rigenerazione) né quindi nel loro comportamento (etica, santificazione). In Gcm 4,12 egli ribadì che Dio è l’unico che può «salvare e perdere», ossia esprimere il verdetto finale su qualcuno.
■ Anima:Il termine «anima» intendeva per gli Ebrei «persona» (questa si componeva a sua volta di corpo e di spirito) e a volte «vita». Salvare l’anima di qualcuno dalla fossa, significava preservargli la vita (Gb 33,18). Liberare o salvare l’anima di qualcuno significa soccorrere la sua persona o lui stesso (Sal 6,4; 72,13).
■ Morte:Chi è avvezzo alla dogmatica penserà che «morte» sia la perdizione o «morte eterna», ma il termine sta qui assoluto e intende semplicemente la «morte» esistenziale sotto il giudizio divino (cfr. 1 Cor 11,30). Similmente Giacomo usò tale concetto in Gcm 1,13ss mostrando il processo che comincia col cedere alle voglie della carne e porta alla alienazione esistenziale rispetto a Dio («morte»). Anche qui si parla più dell’esistenza di credenti falliti che del destino eterno degli stessi.
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Re: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 16:16 #5539

Tesi pro perdita della salvezza 2: Nonostante tutto, mi rendo conto che Gesù ha detto che nessuno avrebbe rapite le sue pecore dalla sua mano. Ma, essendo dotati di libero arbitrio, possiamo (penso) abbandonare volontariamente se il diavolo ci seduce (o meglio ci lasciamo sedurre). Nessuno ci può rapire, è vero ma ci possiamo allontanare dalla verità volontariamente, rinnegandola in fine.
Non so, non pretendo di avere ragione, ma a me sembra la posizione più logica. Giustificherebbe anche il pieno impegno e dovere del cristiano di «combattere strenuamente per la fede» contro le false dottrine che ci sviano dalla verità. Perché facendo posto al diavolo, egli ci allontana da Dio, fino a quando noi non abbandoniamo la verità per volgerci alle favole. Nessuno ci rapisce (ci porta via contro la nostra volontà) è vero, ma seducendoci e lasciandoci sedurre ci allontaniamo noi volontariamente.
Osservazioni : Penso che tutto ciò si basi sulla logica umana e sul suo raziocinio. A molte di queste cose ho dato già una risposta. L’apostolo Giovanni pone una netta linea di demarcazione: «Noi sappiamo che chiunque è generato da Dio non persevera nel peccato; ma il generato da Dio lo preserva, e il maligno non lo tocca» (1 Gv 5,18). E ancora:«Chiunque è generato da Dio non continua a commettere il peccato, perché il seme di Lui dimora in lui; e non può persistere a peccare perché è generato da Dio» (1 Gv 3,9; cfr. vv. 6.10). O si è «generati da Dio» o non lo si è, quantunque si creda di essere cristiani. Se si è «generati da Dio», Egli è capace di portarli fino alla fine in stato di grazia. Quelli che non rimangono nella fede, afferma Giovanni, non sono mai «stati dei nostri» (1 Gv 2,19). Si veda quanto già detto sopra al punto
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Re: SI PUO' PERDERE LA SALVEZZA? 19/09/2012 16:25 #5540

Gianfranco.... quale è la tua posizione rispetto al tema?
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