Partiamo da alcuni presupposti basilari.
«Ama il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22,39). «Chi ama il prossimo ha adempiuto la legge» (Rm 13,
.
«Nessuno ha amore più grande che quello di dare la sua vita per i suoi amici» (Gv 15,13). Qui era Gesù che parlava ai suoi intimi discepoli.
Secondo il principio: " Se è concesso dare il massimo, ossia la vita per i propri amici quale segno di sublime amore, quanto più è concesso dare di meno, ossia i propri organi. Espresso diversamente, si può dire: se il principio del donare vale per la vita stessa (il bene maggiore) quanto più ve per i propri organi! (il bene derivato)."
Su tale base biblica si può avere una buona coscienza nel fare un gesto d’amore verso il prossimo, donandogli i propri organi. Infatti, se noi o uno dei nostri cari ci trovassimo nella stessa situazione disperata, vorremmo anche che ci succedesse similmente.
A tutto ciò si aggiunga quanto segue. La possibilità di donare organi sono due: dopo la morte e in vita.
In genere, da vivi si dà il consenso a donare i propri organi, una volta avvenuta la morte fisica. Una volta morti, il proprio corpo diverrebbe comunque polvere. L’uomo è, fisicamente parlando, «polvere della terra» (Gn 2,7). La polvere diventa comunque polvere alla sua morte (Gn 3,19; Gb 34,15; Sal 90,3). Alla morte, gli organi deperiscono o, se donati, possono sostenere la vita altrui.
Ci sono casi, in cui persone donano, in vita, un organo (un rene, un pezzo di fegato, del midollo, ecc.) al parente stretto (genitori, figli, fratelli, coniugi). Nel caso del fegato, esso si rigenera completamente sia nel donatore, sia nel ricevente; lo stesso vale per il midollo. Di reni il Signore ce ne ha forniti due, per sicurezza. Donare qualcosa del proprio corpo a un parente, è un grande sacrificio e un estremo atto d’amore in accordo con tali versi.
Sebbene nessuno di noi vuole mai trovarsi nella situazione di aver bisogno di un trapianto di organi, sarà grato che ci sia un donatore, quando ciò dovesse mai succedere. Sebbene nessuno di noi vuole mai trovarsi nella situazione di dover donare un organo al proprio coniuge o a uno dei propri figli, in ogni caso ciò sarebbe una dimostrazione di amore estremo.
Abbiamo visto che Gesù insegnò che «dare la sua vita per i suoi amici» sia una prova estrema d’amore (Gv 15,13). Gesù insegnò addirittura l’amore verso i nemici quale segno di distinzione dei figli di Dio: «Ma amate i vostri nemici, e fate del bene e prestate senza sperarne alcunché, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; poiché Egli è benigno verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35). Donare i propri organi è una specie di prestito a tempo, vista la brevità della vita.
QUANDO È UN CREDENTE A RICEVERE UN ORGANO: Ho visto in Internet un filmato, in cui un conduttore di chiesa, testimonia della sua tragedia esistenziale e della sua guarigione grazie alla sostituzione del fegato. Riguardo a tale testimonianza qualche santone massimalista di nostra conoscenza direbbe che tale conduttore ha peccato contro Dio, non avendo abbastanza fede per essere guarito ed essendosi rivolto ai medici. Tale sorta di santone non solo manca di misericordia e di amore, ma anche di verità. Il credente chiede l’aiuto soprattutto a Dio, e il Signore è sovrano di agire come vuole: non dando guarigione ma forza nella malattia, guarendo direttamente o guidando la mente e le mani dei medici. Mi chiedo che cosa farebbero tali santoni, se si trovassero essi stessi o un loro parente stretto (moglie, figlio, genitore) in una grave malattia e, dopo ogni altro tentativo, necessitassero di un trapianto.
I Galati non solo non ebbero ripugnanza della pesante malattia, probabilmente agli occhi, che ebbe Paolo, ma essi sarebbero stati pronti a cavarsi perfino gli occhi e a donarli a Paolo. «...quella mia infermità corporale, che era per voi una prova, voi non la sprezzaste né l’aveste a schifo... io vi rendo questa testimonianza: che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati gli occhi e me li avreste dati» (Gal 4,14s). È un brano molto bello e profondo, anche per il nostro attuale tema.
Ci sono vari motivi per cui non si donano gli organi; eccone alcuni.
Alcuni hanno riserve di tipo medico-scientifiche, ossia timore che l’espianto avvenga quando la persona non è veramente morta. In particolare si ha timore che l’evidenza di un elettro-encefalogramma piatto per alcune ore non sia garanzia certa di decesso, allorquando tutti gli altri organi sono ancora funzionanti, in particolar modo il cuore. Questi sono aspetti tecnici, a cui deve dare risposta la scienza medica. In Italia una morte cerebrale dev’essere accertata da tre medici differenti (un medico legale, uno specialista in anestesia e rianimazione e un neurologo), dopo accurate indagini. In ogni modo, non si muore solo di morte cerebrale, ma anche per altri motivi, p.es.: infarto, incidente, malattia.
Altri hanno specialmente riserve di tipo spirituale, credendo che una donazione di organi non sia nella volontà di Dio e che possa inficiare addirittura la risurrezione. A ciò abbiamo risposto in parte già sopra. Chi crede nella risurrezione dei corpi (Gv 6,54; Rm 8,11; 1 Cor 15,42ss), non deve temere la donazione degli organi post mortem. Dio è l’Onnipotente ed è colui, che vuol fare ogni cosa nuova (Ap 21,4s).